La perdita di Francesco Monti, per tutti noi Kekko – con le “K”, per distinguerlo da Checco, Francesco Capuzzo – è un dolore profondo, difficile da raccontare e impossibile da accettare fino in fondo, nonostante sia passato un mese dalla sua improvvisa scomparsa.

Per me, Francesco è stato il figlio maschio che non ho avuto. Un punto fermo, una presenza sicura. Arrivava sempre in mio soccorso ogni volta che avevo bisogno, senza esitazioni, senza mai tirarsi indietro. Mi chiamava “zia Patty”, con quell’affetto semplice e naturale che nasce solo nei rapporti veri.

Francesco è stato una presenza concreta anche nella mia vita quotidiana. Era profondamente legato alle mie figlie, in particolare Serena e Camilla, quasi sue coetanee. Con loro ha condiviso fin da giovanissimo, amicizia, esperienze, gare, sogni e chilometri: il Nürburgring, più di ogni altro luogo, resta il simbolo di quel legame, vissuto spesso insieme a suo padre Venerio, amico di mio marito.

Di Francesco ho sempre avuto una stima enorme. Era un ragazzo intelligente, intraprendente, dotato di buon senso e di una rara capacità di risolvere i problemi. Educato, rispettoso, mai sopra le righe. Semplice, nonostante portasse un cognome importante per Treviso. In una parola: un signore. Una definizione che oggi suona quasi fuori dal tempo.

La sua grande passione era il motorsport. Non solo da pilota, ma come modo di vivere, di stare con gli altri, di mettersi in gioco. Una passione coltivata con competenza, sacrificio e ironia, senza mai prendersi troppo sul serio. Come quando raccontava che, con “grana poca”, in auto “non si gioca”, e quindi si arrangiava: gomme usate, benzina normale, notti in sistemazioni improbabili. Ma sempre con il sorriso, perché correre, per lui, era prima di tutto il piacere della guida, il dialogo con la macchina, la sensazione di essere al limite e sentirsi vivi.

Alla Coppa Piave Revival il suo supporto è stato prezioso e costante: dall’accompagnare la videomaker durante le riprese, all’allestimento della partenza, dell’arrivo e delle premiazioni, fino alla verifica dei percorsi e alla segnalazione delle incongruenze. Lo ha fatto senza mai recriminare, senza mai far pesare nulla. Anche lo scorso marzo, ancora una volta, era lì.

È stato determinante già nel 2019 per le prove allo Z-Ring, grazie al rapporto diretto con Giuseppe Zadra. E anche quest’anno, quando a gara iniziata non riuscivamo a rintracciare Zadra per l’apertura dei cancelli e l’allestimento del percorso, è intervenuto lui, risolvendo una situazione che sembrava compromessa. Ricordo ancora che, nel 2019, al termine della gara, organizzò un pranzo nella sua tenuta in laguna, invitando me, Zadra e sua moglie per festeggiare il buon esito dell’evento. Un gesto spontaneo, elegante, profondamente suo.

Con UNVS non è stato da meno: ha allestito campi e podio di premiazione per il Master dei Master di Tennis Femminile, il primo weekend di maggio, e la sala premiazioni del Campionato di Tiro a Segno a metà settembre. Sempre presente, sempre affidabile.

Ai primi di settembre lo avevo messo in contatto con un Commissario Tecnico per ottenere il Passaporto ACI per la Barchetta. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato sabato 20 settembre. L’ultima telefonata risale al 16 ottobre. Date che oggi pesano come macigni.

Francesco amava raccontare che tutto era iniziato a 14 anni, quando, invece del motorino, grazie all’intervento di Francesco Capuzzo, ricevette un go-kart. “Da quel giorno – diceva – ogni anno rinnovo la licenza di conduttore”. In quella frase c’è tutto di lui: la gratitudine, la memoria, la coerenza.

Oggi resta un vuoto enorme. Ma restano anche i ricordi, le risate, le giornate passate a lavorare insieme, le gare, la disponibilità silenziosa, la correttezza, l’educazione, l’umanità. Francesco Monti lascia un segno profondo in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo davvero.

E io, quel ragazzo che arrivava sempre in mio soccorso e mi chiamava zia Patty, non lo dimenticherò mai.